Il Principe

 

 

Carlo d'Aragona

e

Tagliavia

 

 

Ritratto del Principe

 

lo stemma

 
   

Carlo d'Aragona e Tagliavia attua il disegno che già i suoi due avi avevano concertato all'inizio del secolo. Giovan VincenzoTagliavia, suo nonno Paterno, e Carlo d'Aragona Signore d'Avola, suo nonno materno, cognati, in quanto Giovan Vincenzo aveva sposato Beatrice D'Aragona, sorella di Carlo, avevano concordato la linea politica che le due casate avrebbero condotto. Don Carlo d'Aragona di Avola era privo di eredi maschi, pertanto con lui si sarebbe estinto il casato. Nei nipoti, figli di Giovan Vincenzo e della sorella, vede dunque i naturali prosecutori della stirpe e perciò ad uno di essi volle accasare l'unica figlia Antonia Concessa. 

La condizione era che il cognome Aragona venisse anteposto a quello dei Tagliavia e la costrizione è ben accetta a Giovan Vincenzo  e figli perché quel cognome di origine regia dava onore  e lustro al casato. Cosi, intorno al 1512, Antonica Concessa sposa  in prime nozze, a soli 14 anni, il cugino Francesco e, dopo la morte prematura di questi, avvenuta  nel 1515, il cugino/cognato Giovanni. Ciò avviene alla fine  del 1516, previa dispensa papale concessa il13 settembre dello stesso anno. In tal modo nelle mani di Giovanni convennero i beni dei Tagliavia, signori di Castelvetrano, Pietra Belice e Borsetto e quelli degli Aragona, signori di Avola e Terranova(Gela), nonché i titoli recatigli dalla moglia di gran Contestabile e grande Almirante del regno.

Ciò comporta il decollo della famiglia che, da semplice nobiltà di provincia, assurge per titoli, possedimenti e redditi ai primi posti dell’aristocrazia siciliana; nel contempo cresce la considerazione in cui è tenuta dai monarchi spagnoli specie per molteplici benemerenze di cui Giovanni seppe adornarsi, partecipando alle imprese avviat dal sovrano spagnolo in quel periodo, approntando anche del proprio per meglio servire il suo re, specie nella spedizione di Tunisi del 1535 nel corso della quale si distinse per valore, apportando alla flotta spagnola due navi da combattimento propri oltre ad una nave per i rifornimenti; mentre qualche anno prima, nel 1530, aveva inviato numerosi cavalli armati al sovrano, a Napoli, per le occorrenze militari del momento. Questa disponibilità a concedere del proprio per la  causa della monarchia, oltre alla partecipazione diretta, resero particolarmente disponibile e aperto nei suoi confronti il sovrano spagnolo che più volte lo gratificherà della sua  benevolenza nominandolo due volte presidente del Regno (1539, 1544-45). Il figlio Carlo, che dal matrimonio con  Atonia Concessa era nato, giovanissimo, sotto la guida del padre, partecipa alle imprese anzidett; in ragione di ciò e per altre molteplici benemerenze che nel tempo saprà procacciarsi, consegue cariche ed onori tangibili in misura ancora più grande di Giovanni. Presente in Africa, compagno dell’Impertaore nelle Fiandre e in Germania, presente nella flotta che partecipa all’assedio di Algeri, don Carlo costruisce con sagacia e determinazione le premesse per l’acquisizione di onori e titoli: da carlo V sarà nominato marchese di Avola nel 1542 e consigliere collaterale del regno nel 1547; da Filippo II sarà elevato a duca di Terranova nel 1561 e principe di Castelvetrano nel 1564.

Successivamente, come altri illustri rappresentanti dell’aristocrazia italiana di altre regioni e distretti della penisola, che faranno fortuna presso la corte spagnola (Savoia, Farnese, Medici, Gonzaga, etc.), don Carlo acquisirà alte cariche e titoli nell’ambio dell’amministrazione dell’impero spagnolo. Sarà in Sicilia due volte presidente del Regno (1566-68/1571-77) viceré di Catalogna (1580), ambasciatore in Germania, governatore dello Stato di Milano (1582), membro del Consiglio di Stato e Guerra a Madrid, e presidente, sempre nella capitale spagnola, del Consiglio d’Italia e, dopo la morte di Filippo II e durante la minore età di Filippo III, e cosi come elogiò il popolo Palermo nel coniare medaglie in suo onore, in cui figura la scritta “Magnus Siculus”.

I progetti preparati due generazioni prima dai suoi avi prendevano dunque corpo e trovavano attuazione; don Carlo con fine acume politico riuscì ad interpretarli e a realizzarli, ma  per nulla dimentico della Sicilia, egli fu sempre vicino alla sua terra e all’interesse dei siciliani, tanto che, pure essendo all’estero, la classe dirigente locale continuerà  a relazionare con lui per ricevere suggerimenti ed indirizzi onde influire sulla poliica dei viceré dell’isola. Aperto ai rapporti con potentati del tempo, intratterrà corrispondenza con i dogi di Venezia (Aloisio Mocenigo, Niccolò del Ponte, Pasquale Cicogna) e con i papi (Gregorio XIII, Sisto V, Gregorio XIV, Clemente VIII); insignito dei titoli più prestigiosi dell’epoca -Toson d’oro, Grandato di Spagna di I classe etc.- nondimeno resta sentimentalmente legato alla sua terra, tanto che nel testamento, redatto due anni prima della morte, non assegna alcun obolo per chiese o istituti spagnoli ma solo per chiese e istituti di Castelvetrano e Palermo. A Castelvetrano assegna al convento di San Domenico 40 onze annuali, al convento dei Cappuccini un’elemosina, al monastero dell’Annunziata e all’ospedale onze 40 ciascuno; a tutte le confraternite e compagnie di Castelvetrano 10 onze ciascuna. A Palermo assegna alla Casa Professa dei Gesuiti 100 onze, all’ospedale dio San Bartolomeo e alla Badia dei Ripentiti onze 40 ciascuno. E ancora più aclatante è questo legame sa si pensa che espressamente in detto testamento proclama di volere essere seppellito a Castelvetrano nella chiesa di San Domenico, da lui tanto magnificata, e presso le spoglie della moglie amatissima ivi sepolta.

Don Carlo ebbe ampia figliolanza, otto maschi (Don Giovanni marchese di Avola, don Simone cardinale, don Pietro, Ferdinando, Vincenzo, Cesare, Giuseppe e Ottavio) e cinque femmine (Isabella, Anna, Beatrice, Giulia, Emilia). In ragione di ciò, nella qualità di cittadino di Palermo, beneficiando delle leggi9 degli  Imperatori e dei Re di Sicilia a vantaggio di coloro che avevano 12 figli, fu esentato dal pagamento dei dazi civici dall’Università di Palermo. Dei 13 figli ebbero rilevanza: il primogenito Giovanni, premorto al padre, che già s’era distinto per virtù militario e di governo, nella battaglia di Lepanto, negli scontri contro le bande turchesc he sbarcate in quel di Avola, più volte deputato del regno, capitano d’armi in Val di mazara, sposo di Maria de Marinis che gli aveva portato in  dote il marchesato di Favara e Sant’Angelo Muxaro, don Simone che aveva completato gli studi in Spagna presso l’Università di Alcalà de Henares, elevato cardinale nel 1583 da Gregorio XIII; Ottvio, che molto si distinse nella armi e fu ammiraglio di flotte si cilianae negli scontri contro turchi nei mari d’oriente; donna Anna, andata in sposaa Giovanni Ventimiglia, Marchese di Geraci e poi anche presidente  del Regno.

La loro dimora si divide tra Castelvetrano e Palermo; in ambo i centri don Carlo disponeva di abitazioni adeguate. A Castelvetrano il castello, a Palermo il grande palazzo che sorgeva nelle vicinanze dell’attuale piazza San Domenico e si estendeva fino alla chiesa di Santa Caterina all’Olivella, oltre alla grande villa alla periferia della città tra la Zisa ed il convento dei Cappuccini.

A Castelvetrano i Tagliavia-Aragona dal ‘400 fino al ‘600 avevano eletto a propria dimora il castello di città e in questo  godevano di soggiorno sicuro e confortevole, come confermano vari documenti. Lo stesso don Carlo, nei suopi brevi soggiorni castelvetranese, nel castello riunì vari consigli civici per decidere di importanti provvedimenti riguardanti la vita cittadina; quando, tra il 1578-79, don Carlo parte dalla Sibilai, lascia nel castello di castelvetrano due figlie ancora nubili. Nel suo bilancio le spese per costruzioni comprendono anche determinate somme per lavori di manutenzioni e abbellimenti al castello di Castelvetrano. Probabilmente a tali interventi possono riferirsi quei lavori in affresco e in stucco che nel corso dei recenti restauri di recupero dell’edificio sono venuti alla luce. Sono gli unici reperti originali di decorazioni rinvenute sinora nel palazzo, che per trasformazioni continue subite nel corso dei secoli, ha perduto quasi ogni traccia di decorazioni e arredi. Le immagini che riportiamo-eseguite grazie alla cortese disponibilità  dell’attuale proprietario del palazzo Sig. Gianfranco Becchina- illustrano un affresco a grottesche,(……). L’edificio fino alla prima metà del ‘600, conservò l’aspetto di turrito castello, poi subì tali e tanti rimaneggiamenti da perdere completamente l’aspetto di castello per assumere quello di palazzo signorile. (….).

Nel periodo  in cui ebbe responsabilità  di governo a Palermo, don Carlo ordinò la Raccolta dell Prammatiche del Regno e dei Capitoli, che furono stampati a Venezia nel 1574: si ebbe in questo modo un Codice delle nostre leggi che prima erano sparse e di non facile consultazione. Nello stesso periodo partecipò intensamente  alla ristrutturazione urbanistica della città,  dando impulso e contributo  notevoli. Nel 1567 predispone l’ampliamento ed il prolungamento della via  marmorea o Cassaro, in armonia con le tesi rinascimentali dei rettifili e dei collegamenti tra  le  emergenze di interesse civico e politico dell città: ilCassaro viene cosi a collegare il Palazzo Reale da un lato, sede del potere politico, e il porto piazza Marina e lo Steri dall’altro, dede del potere  giudiziario dell’Inquisizione.

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Tratto da  A. Giardina e V. Napoli, Carlo d’Aragoina e le travi dipinte della chiesa Madre